Si abbassa l’età del primo incontro con il fantasma dalle spalle ossute
di Franco Pepe
Pubblicato su Medicalmeet
Anoressia, bulimia, abbuffate compulsive, senza freno, quelle che passano sotto il nome di “binge eating”.
Il trend è in crescita e fa paura. Numeri impressionanti.
I disordini alimentari sono diventati pericolosi compagni di vita di 3 milioni e mezzo di italiani (lo scorso anno 9 mila nuovi casi) che si aggrappano al rifiuto ossessivo del cibo per difendersi dallo specchio fatto di sfiducia, di sentimenti di inadeguatezza e disvalore, che deforma la loro immagine. Non solo. Si abbassa l’età del primo incontro con il fantasma dalle spalle ossute che ha preso le forme di un’epidemia sociale. Ben 2,3 milioni delle vittime del mito della magrezza sono adolescenti.
Nel 95 per cento dei casi si cade nella trappola del disagio tra gli 11 e i 18 anni. Nel 90 per cento sono malattie al femminile. E l’esordio è sempre più precoce, anche a 8-9 anni. L’allarme arriva dall’Oms.
Anoressia e bulimia in età giovanile sono la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Fenomeno in lievitazione pure nel Vicentino.
I dati del centro per i disturbi del comportamento alimentare del San Bortolo rivelano il dilagare di un male di vivere che nell’anoressia esplode per predisposizione genetica, sotto la pressione di modelli sociali ingannevoli, ma anche per cause scatenanti sconosciute, e nella bulimia come piaga scavata spesso dal bullismo e dall’abuso sessuale.
I numeri sono lo specchio di una deriva che non si arresta. Anoressia, bulimia e disturbi da alimentazione incontrollata, tre volti di uno stesso mostro che ghermisce con gli artigli, catturano sempre più vittime. E si abbassa, come detto, l’età delle ragazze, ma anche dei ragazzi (ora anche i maschi vengono stretti nelle spire di questa ossessione) che entrano in un labirinto di cui non si sa quando si troverà (se si troverà) un varco di uscita.
Nel 2018 i nuovi casi erano stati 155. Alla fine del 2019 saranno molti di più.
In tutto lo scorso anno 278 pazienti in carico. Nel 2019 fino ad oggi 249.
Nel 2018 267 prime visite. Quest’anno, fino al 15 giugno, erano già 255.
Schizzano poi in alto le visite medico-specialistiche di controllo: nel 2018 525 e, al giro di boa neppure completato dei 180 giorni, 966. Un quadro sconfortante. Che emerge pure dalle cifre del day hospital e dei ricoveri.
I posti disponibili sono 12. Ebbene, nel 2018 74 pazienti. A metà giugno 2019 71 ragazze in terapia, fra dieta, trattamento psicologico e attività semi-residenziale.
Nel 2018 1386 giornate di ricovero. Nel 2019, in neppure sei mesi, 1077.
Nel 2018 173 giornate di degenza ospedaliera. Quest’anno in nemmeno 180 giorni, 157.
Sempre più bambine e giovanissime, dunque.
Ma il cerchio dei disturbi alimentari continua ad allargarsi anche in altre fasce di età in cui ognuno combatte ogni giorno la sua difficile battaglia contro il drago che fa odiare il cibo.
“La maggiore concentrazione – dice la dottoressa Alessandra Sala responsabile del Centro del San Bortolo – si ha fra i 16 e 24 anni, ma vediamo anche casi di donne fra i 40 e 50”. Qualche volta il malessere cova sotto la cenere per anni e poi, all’improvviso divampa. Rifiuto del cibo o, sul polo opposto, abbuffate compulsive restano le sbarre di una silenziosa epidemia che sconvolge la vita di chi ne resta vittima e delle famiglie. Ma oggi questo aumento – spiega – è dovuto a una serie di fattori.
“Emergono più casi perché c’è una maggiore attenzione dei medici di base. Una volta chi soffriva di questi disturbi arrivava a un tentativo di cura dopo anni di malattia magari nascosta o taciuta. Le cure erano ancora sottotraccia, difficili da intercettare e i centri per lo più inesistenti. C’era solo qualche struttura privata e si doveva pagare. Adesso con un centro pubblico come il nostro chi ha bisogno viene”.
Nel 2018, in Italia, i decessi collegabili a uno o più disturbi alimentari accertati sono stati oltre tremila.
Vicenza, per fortuna, non ha ancora conosciuto l’estremità del dramma ma le situazioni gravi che hanno bisogno di un lungo ricovero in ospedale e del sondino per l’alimentazione artificiale sono sempre più frequenti.
“C’è – dice la dottoressa Sala – un’attenzione spasmodica alla forma fisica e e il dimagrimento diventa la via per controllarla. Il disagio viene focalizzato sul cibo. Le concause possono essere tante: il Dna, la fragilità della famiglia, l’ambiente sociale. L’adolescenza è un’età in cui la competitività è maggiore e il soggetto più debole soccombe e si isola”.
Un meccanismo perverso. C’è la ragazza in sovrappeso che viene presa in giro dai coetanei. Chi non ha un’immagine di successo si sente diversa, esclusa, si vede puntata dalla disistima. Ci sono le vittime di bullismo. I social moltiplicano questa immagine negativa, la rendono virale, scoppia la crisi esistenziale, il disagio si trasforma in patologia, e queste ragazze si rifugiano nei siti che mascherano le difficoltà vere ed enfatizzano la voglia di essere magre e belle.
Numeri e problemi, questi, che affiorano nel 4° Forum Regionale sui disturbi alimentari (organizzato dall’Associazione Midori in collaborazione a dolp_dove osano le parole per la parte Segreteria Organizzativa/Provider) sullo sfondo di un titolo comunque positivo (La sfida del cambiamento), nella cornice della sala convegni dell’ospedale.
Un board di relatori di spicco – fra esperti di calibro nazionale (Paolo Santonastaso della clinica psichiatrica padovana, Pierandrea Salvo della Casa delle Farfalle di Portogruaro, Angela Favaro dell’università di Padova), e i referenti dell’ospedale di Vicenza (i primari Massimo Bellettato di pediatria, Andrea Danieli del servizio psichiatrico, Giovanni Scanelli di medicina, il neuropsicologo Paolo Magrini, l’endocrinologo Vincenzo Munno) – sotto la regia del team diretto dalla dottoressa Sala.
E al centro della convention la famiglia, come punto di riferimento del percorso di cura, a cominciare dal Fbt, Family based treatment, metodo collaudato e consigliato dalle linee-guida internazionali che coinvolge intensamente i genitori, ma in un’ottica che chiama in causa i medici, visto che la linea comune pone una certezza pesante come un macigno: la diagnosi precoce moltiplica le probabilità di guarigione nei più giovani. Quanto prima si scopre il problema, tanto più possibile è la soluzione. Nel 90 per cento dei casi se ne esce.
Così si costruisce il “ponte di speranza” che è il sogno della presidente di Midori Antonella Cornale, anima di questa lotta a malattie che catturano la mente e ricattano il corpo, a ossessioni che possono rinchiudere in un labirinto senza uscita, a patologie di natura psichiatrica che inseguono il mito paradossale della magrezza e di cui è importante, quindi, riconoscere i primi sintomi per combatterle.
Ci sono ragazze che restano ricoverate in ospedale, in pediatria o in medicina, per oltre 3 mesi.
Che hanno bisogno del sondino per sopravvivere, per superare la fase più difficile dell’emergenza, e poi di farmaci anti-depressivi per cercare di evadere dalla gabbia.
“Più del 50 per cento ci riesce, un altro 15-20 per cento si porta addosso questo dramma per sempre, un altro 10-15 non ce la fa. Si può guarire o morire – dice un maestro come Paolo Santonastaso, cattedratico di clinica psichiatrica a Padova, uno dei fondatori di questi centri che curano i cancri mentali dell’anoressia e della bulimia, che nel 1999 “scrisse” la delibera regionale con cui il Veneto, primo in Italia, introduceva un sistema di cura diventato modello nazionale. Sono malattie che si vedono – ribadisce – eppure si intercetta solo il 60 per cento delle persone che soffrono di questi problemi. Un altro 40 sfugge alla diagnosi, non viene curata quando invece il trattamento precoce è fondamentale.
Per questo l’importanza di terapie mirate che hanno bisogno di apporti clinici e psicologici, di rieducazione al pasto visto non più come sede dell’abisso, del confitto interiore. Per questo la necessità di una adeguata interazione fra medici e famiglie. Perché altrimenti papà e mamme rischiano, comunque, nonostante l’impegno, di brancolare nel buio alla ricerca di soluzioni che non conoscono.
Nel Veneto operano due centri a Padova e Verona, 3 poli provinciali pubblici a Vicenza, Portogruaro e Treviso, 13 ambulatori, 4 case di cura private. E, nel panorama veneto e nazionale, il centro del San Bortolo brilla, per qualità ed efficienza, come asse di una rete provinciale che comprende le Ulss 8 e 7.
Insomma, il San Bortolo è una punta di diamante.
E questo grazie anche ad associazioni come Midori, nata proprio per dare aiuto ai genitori, stimolare le istituzioni, sensibilizzare la gente.
“Vogliamo sdoganare la paura e portare la speranza – ha sempre sostenuto Antonella Cornale – da soli si è impotenti. Insieme, con il supporto di strutture mediche valide, di qualcuno che indirizzi, che dica cosa fare, si può vincere questa battaglia”.